STORIE 

Africa Occidentale (Ghana – Benin) – SCHIAVI

Per un secolo, tra il 700 e l’800, tutte le potenze Europee, misero a ferro e fuoco le coste dell’Africa Occidentale. Prima furono oro e pietre preziose, poi i conquistatori si concentrarono su qualche cosa di più redditizio, il genere umano. Prima gli Arabi, poi i Portoghesi, arrivarono i Danesi, i Tedeschi, i Francesi e gli Inglesi. Tutti si spartirono una fetta del mercato degli schiavi. Le grandi navi oceaniche caricavano di tutto. Si calcola che in quel periodo più di sei milioni di uomini, donne e bambini furono deportati. Destinazione Europa, Nord America, Brasile, Cuba e Caraibi. Un ultimo sguardo alla terra natia poi, attraverso la porta del non ritorno, divenivano SCHIAVI

Le coste Ghanesi, sono punteggiate da una serie di castelli. Era qua che giungevano dall’entroterra gli schiavisti con il loro carico di umanità. I razziatori erano per lo più appartenenti alle tribù più potenti organizzate e armate da europei senza scrupoli. Le etnie più deboli cadevano nella trappola e non avevano scampo. Il territorio nell’entroterra è pieno di luoghi dove appaiono tracce dei campi di smistamento dove venivano raggruppati gli schiavi in attesa di essere scelti per essere trasferiti sulla costa. Dei tanti castelli costruiti alcuni sono solo macerie ma altri, come quello di Good Hope, di Cape Coast ed Elmina, sono stati restaurati come monito ed in ricordo di una delle più grandi deportazioni avvenute nella storia dell’umanità.

Ma è in Benin, ad Ouidah, che si può ancor oggi vivere in prima persona il tragico succedersi degli ultimi momenti degli schiavi prima di salire sulle navi. La Route des esclaves è il sentiero percorso dagli schiavi dalle prigioni alla spiaggia. Ora è disseminato di sculture, murales, statue in bronzo che ricordano l’evento. Quattro chilometri fino all’oceano, gli ultimi percorsi con le catene ai piedi nella loro terra natia poi passando attraverso la Porta del non Ritorno venivano imbarcati per poi partire verso l’ignoto.

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Foto e testi a cura di Cesare Sabbatini
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